sabato 12 gennaio 2008

L'angolo dei bambini: La leggenda di Colapesce

Inseriamo oggi la meravigliosa leggenda di Colapesce, così come l'ho ascoltata da bambino dai racconti degli anziani. Alcuni termini sono volutamente in dialetto siciliano, tradotti in italiano quando serve. Siamo sicuri che ogni bambino, persino quello nascosto dentro il cuore degli adulti, possa fantasticare su questa storia di mare e di amore.

LA STORIA DI COLAPISCI

Cera na vota, in un paisinu vicinu allu strittu di Missina un poviru piscaturi.
Stù piscaturi avia un figghiu ca si chiamava Nicola.
Nicola viveva insieme alla sua famigghia in una baracca di legno che si reggeva a stento sulle ciache (sassi tondi) della spiaggia, ed era così povero che non aveva neanche un cognome.
In paese lo conoscevano tutti come “Cola, u figgi ru piscatori” ma ben presto cominciarono a chiamarlo Cola-pisci, perché fin dalla più tenera infanzia cercava l’acqua ru’ mari proprio come fa un pesce.
Sua matre, povera donna, aveva anche altri figli a cui badare, e siccome l’unico modo per farlo stare quieto era quello di metterlo in acqua, lei ce lo metteva! Eccome se ce lo metteva.
Cola, figghiuzzo mio, stava ammollo all’acqua ra matina n’fino a’’ sira, quando suo patre si arricoglieva (ritornava) a casa e si preparava per la notte di pesca.
Ma pesce ne portava a casa sempre troppo poco. Bastava appena per sfamare la famiglia e per comprare quattro stracci per coprirsi con dignità.
La dignità era l’unica cosa che non mancava a casa di Cola, e suo patri ci dicia sempri alla sira “ fighiu miu, u Signori ti Binirìci, arricordati ca manu chi’duna un pinnia mai” (Figlio mio, il Signore ti benedica, ricordati che la mano che da non dovrà mai soffrire la miseria).
I bambini del paese gli volevano bene e lo ammiravano perché era quello che nuotava più forte di tutti, e se c’era da recuperare un’ancora ‘mpigliata o un oggetto caduto in mare si chiamava un solo nome: Colapisci.
Ma quando si fici picciuttieddru (ragazzino) un u vitti chiu nuddru (nessuno lo vedeva più in giro).
Certe volte un’sarricampava mancu pi ‘manciari (non tornava neanche per la cena) e sua matri chianciva (piangeva) e rivolgendosi alla Vergine Santissima chiedeva la grazia per Nicola.
“ Vergine Santissima, tu che lo sai cosa significa avere un figghiu speciali (un figlio fuori dalla norma) fammi la grazia di vedere il mio Nicola con i piedi per terra, facci attruvari una bella picciotta ca ci voli beni e facci passari sta malatia (fallo guarire dalla passione per il mare).
Ma Nicola i piedi per terra ce li teneva ben poco, quando non era in mare da solo accompagnava il padre a pescare.
Si, perchè suo patre si era accorto che quando c’era Nicola il pesce non mancava mai.
Anche quando c’era burrasca o sciusciava u scirocco (soffiava il vento di scirocco) le reti si riempivano.
Quando erano alla larga (al largo) lontano dalle altre varche, Cola si abbassava colla facci vicina all’acqua e ci faceva la preghiera ai pisci; e i pesci lo ascoltavano sempre.
La felicità di suo patri finiva presto picchì Cola ci faceva pigghiari solo chiddru ca sirvìa e u restu l’avia a ghittari a’mmari. (prendeva solo il necessario e obbligava suo padre a ributtare in mare il resto).
So patri ciancìa mutu e giarnu comu un linzolu (piangeva in silenzio, pallido come un lenzuolo) e na so testa pinsava (e si chiedeva tra se e se) “qu stu pisci, ni putissimo arrisorbiri n’antìcchia”
(con quel pesce, buttato in mare, avremmo potuto migliorare un po’ la nostra situazione economica), ma Cola lo guardava teneramente non come fa un figghiu, ma come fa un patri o un nannu (nonno) e arrispondeva così: Non abbiamo più patito la fame e il mare ci da in abbondanza.
Ora non dobbiamo offendere la Provvidenza prendendo di più di quello che ci serve.
Certe volte Nicola sinni fuiva (scappava) e nessuno lo vedeva per giorni e giorni, e quando tornava si teneva la bocca cuscuta (cucita) con tutti tranne che con sua madre. Perché solo lei poteva credere, per amore, alle storie fantastiche che lui raccontava.
Qualcuno diceva che dopo avere tagliato c'un cutieddu la panza di un tonno viaggiava dentro il pesce fino ai mari lontani, certe volte andava in posti dove il sole non scendeva mai sotto l’orizzonte. Posti freddissimi dove l’acqua è agghiacciata. Ma andava anche in posti caldi con i pesci di tutti li culura.
Sua madre lo ascoltava in silenzio e, nonostante l’insistenza delle comari del paese, restava zitta e muta.
Un giorno di primavera il re venne a passare da quelle parti con la sua bellissima figghia, e mentre si apparecchiavano tavole piene di ogni pesce che vive nel mare qualcuno gli raccontò la storia di Colapisci.
La figghia del re, che era presente, appena sintuta questa storia, non potti più dormiri. Una putenti febbri d’amuri la pigghiò per Colpisci che aveva sintuto sulu nominari.
La notti si girava nel suo lettu a baldacchinu e gridava "Colapiiiiiscciii".
Il re temette per la sorti della principessa e dopo avere interpellato gli scienziati e i parrini (preti) decise di andare con la sua nave a cercare questo Colapesce.
Il re era curioso di incontrarlo, ma non credeva a una sola parola delle leggende di fuoco sotto il mare, di mostri marini e soprattutto di un uomo che parlava coi pesci.
Arrivò il giorno in cui la nave del re si fermo nel porticello. Aspettarono un giorno e una notte prima che Colapesce facesse ritorno, ma la principessa avrevve aspettato pure 10 anni.
Quando qualcuno gridò tutti guardarono verso il mare Colapesce che si avvicinava a cavallo di un delfino.
Il re, senza troppe cerimonie gli disse: “E’ vero che tu conosci il fondo del mare” Sì sua maestà
“E’ vero che conosci la lingua dei pesci” Si sua maestà.
“E’ vero che c’è il fuoco in fondo al mare” Si sua maestà, rispose Colapesce, in fondo al mare proprio a metà esatta tra Scilla e Cariddi, c’è una grotta grandissima da cui esce un fiume di fuoco.
Il re chiese se fosse mai entrato nella grotta. E Colapesce raccontò di due mostri marini terribili che stavano a guardia dell’ingresso. “Nessuno può entrare in quella grotta senza il permesso” continuò il giovane.
“Ma io sono il re e comando dal cielo infino al fondo del mare” rispose il re.
Così decise di mettere alla prova Colapesce dicendo:
“Se quello che dici e vero non avrai difficoltà a recuperare il mio anello” e così dicendo lancio il suo anello regale dove l’acqua era nivura (nera) come il carboni (per la profondità).
Se me lo porterai indietro, di darò sette chili d’oro, ma se non lo porterai ti farò tagliare la testa.
Colpisci fece un sorriso, poi scese sotto il mare e dopo una menzurata bona (una buona mezzora) tornò con l’anello.
Appena niscìu da sutta lu mari (torno dal fondo del mare), Colpisci vitti na’visioni (gli parve di avere una visione). Si trovò davanti la più bella creatura di tutta la terra e di tutto il mare.
Era la figghia del re.
I due picciotti appena si guardarono si innamorarono perdutamente e Colapesce decise che avrebbe fatto qualsiasi cosa per accontentare i suoi desideri.
La figghia del re ci disse: “Colpisci se tu mi porti il fuoco che stà sotto il mare, io ti do un bacio” E allora Colapesce si immerse nelle profondità marine verso la grotta scura.
Davanti alla grotta i due mosti guardiani gli chiesero “chi sei tu, che ti avvicini così tranquillo a questo luogo pericoloso dove pochi arrivano e nessuno ritorna?”
“Sono Colpisci” rispose il picciotto, “u figghiu ru’ piscatori”
E i due mostri, spostandosi dall’entrata della caverna gli risposero “Allora po’trasiri” (puoi entrare)”.
Colpisci si avvicinò appena all’ingresso della caverna e vide un fiume di lava incandescente che trabboccava dall’apertura. Poi accese in quel fuoco una canna di ferla (Ferula sp.) che si era portata per dimostrare alla sua amata di avere raggiunto il fuoco.
Ritornato in superficie alzò il braccio e mostrò a tutti la canna bruciata che stringeva nella mano china ri’ papule (con le vesciche dovute alle ustioni).
Ma il re si ingelosì e non voleva che quest’amore tra Colpisci e sua figghia continuasse. Allora gli tese un tranello. Gli disse “Ora Colpisci, butto il mio calice d’oro nel fondo del mare, se tu mi porti, dentro questo calice, il fuoco che c’è dentro la caverna, allora di darò la mano della mia figghia”.
Gli occhi di Colapesce si fecero tristi, perché nessuno poteva resistere al fuoco della caverna senza bruciarsi completamente. Ma l’amore per la principessa era più forti, così Colpisci tornò nel fondo del mare e trovo il calice d’oro.
Dopo avere preso un lungo respiro guardò per l’ultima volta la principessa e si immerse nelle profondità del mare.
Tutti lo aspettarono fino alla sera ma poi capirono che non sarebbe più tornato a galla.
Qualcuno dice che, entrato nella caverna si accorse che la Sicilia si teneva sopra tre colonne.
Ma una di quelle colonne era mangiata dal fuoco, e lui si sarebbe messo a tenere il peso al posto di quella colonna.
Altri dicono che si infilò nella pancia di un pesce e se ne andò in giro per il mondo tenendo nel cuore l’amore impossibile della principessa.
Certu è che nessuno mai fu come Colpisci, menzu omu e menzu pisci.


In rete è presente un sito molto ben fatto, dedicato interamente a questa leggenda. Se ne possono trovare alcune decine di versioni. L'indirizzo è il seguente:
http://www.colapisci.it/

Nessun commento: